“Sul ruolo delle identificazioni patologiche inconsce” di Jessica Leonardi

“Dottoressa, in questo sono identico a mia madre”, oppure “mi ha ferito molto il suo essere così e mi sono ripromessa che nella vita sarei stata l’esatto opposto di mio padre”, sono frasi che credo ognuno di noi, pensando alla propria pratica clinica, può richiamare facilmente alla mente. E spesso, altrettanto facilmente, i pazienti sono in grado di fare questo tipo di associazioni senza troppe sollecitazioni da parte nostra, in linea con la tendenza inconscia della nostra mente a rilevare pattern e a giungere rapidamente a conclusioni (Kahneman, 2011). C’è un piano però molto più sottile e profondo di cui i pazienti invece non sono affatto consapevoli: il modo in cui quelle che loro trovano semplici similitudini guidi e orienti inconsciamente i loro pensieri, sentimenti e comportamenti e quale sia nello specifico la funzione che esse hanno.

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