Come acutamente osservato da George Silberschatz (2016) in un’intervista che si trova sul nostro sito, a volte diamo per scontato che una nostra risposta sia un modo per superare un test, o costituisca un intervento pro-plan, perché è in questo modo e con questo senso che l’abbiamo pensato. E viste dalla prospettiva di un osservatore terzo, le cose stanno realmente così. Ma non è detto che tutti i pazienti “traducano” come ci attendiamo la risposta o l’intervento del terapeuta; anzi, un intervento in buona parte pro-plan o un test apparentemente superato può essere “tradotto” dal paziente come anti-plan o come un test fallito. E credo che i fattori alla base di questi fraintendimenti siano l’intensità con cui un paziente presta fede alle sue credenze patogene e dei sentimenti che a esse si associano.
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