Recensione del testo “Fidarsi dei pazienti” firmata da Giancarlo Dimaggio ed apparsa su “State of Mind“:
Se vogliamo curare i pazienti la nostra formulazione del caso deve essere di un’accuratezza finissima. Per arrivarci abbiamo bisogno di teorie adeguate, grazie alle quali ascolteremo i pazienti e riorganizzeremo il loro discorso in un modo che li farà sentire visti, accettati, capiti e accompagnati verso la salute, la rottura delle catene mentali che vincolano alla sofferenza.
E ci servono libri che ci spieghino il processo relazionale in terapia, quello che accade tra paziente e terapeuta. Libri che ci mostrino, senza oscurantismi, linguaggio iniziatico, idee strampalate, che il modo in cui il clinico si relaziona al paziente ha un impatto potenzialmente utilissimo sul suo funzionamento.
Fidarsi dei pazienti di Francesco Gazzillo è, semplicemente, un libro che i terapeuti devono tenere sul comodino. Leggerlo. Rileggerlo. Impararlo. Applicarlo.
Perché illustra una delle teorie più utili clinicamente che possiate trovare, la Control Mastery Theory. Sviluppata negli anni ’80 dagli psicoanalisti Joseph Weiss e Harold Sampson, ha una capacità ineguagliabile di spiegare la componente relazionale del processo di cura. La concettualizzazione del caso è formulata esattamente come voglio: chiara, affilata e soprattutto alla luce di una psicologia della salute.
Qual è l’idea? Che i pazienti siano motivati da desideri e spinte sani, funzionali, adattivi. Ma che covino una serie di credenze patogene su come gli altri risponderanno alle loro proposte relazionali. A causa di queste risposte reagiscono in una serie di modi: compiacendo, ribellandosi, estremizzando i comportamenti opposti, reprimendo i desideri sani. E a quel punto si fregano la possibilità di realizzare i propri desideri. Si tratta di credenze che i pazienti possono coltivare in piena coscienza, ma più spesso si tratta di automatismi, procedure relazionali inconsce, agite senza consapevolezza.
Più in dettaglio, l’idea è che ogni relazione interpersonale sia una specie di test. Come dice con chiarezza Gazzillo:
In tutto ciò che facciamo nelle nostre relazioni più o meno intime, e dunque anche in terapia, ci può essere almeno una dimensione di test… visto che vogliamo sentirci al sicuro per realizzare i nostri obiettivi e disconfermare le nostre credenze patogene, ogni volta che ci rapportiamo a un’altra persona facciamo tutto questo e stiamo attenti a vedere se e quanto la risposta dell’altro è in linea con i nostri bisogni (p. 34).
La teoria della cura, almeno per quanto riguarda la relazione terapeutica ha la stessa disarmante chiarezza. Il paziente testerà il terapeuta per vedere se quest’ultimo confermerà le sue credenze patogene o agirà disconfermandole e così facendo lo renderà libero di perseguire il suo desiderio sano con sicurezza e libertà. Grazie a questa teoria, e alle tante vignette cliniche che Gazzillo utilizza per illustrarla, il terapeuta, di qualunque orientamento sia, apprende strumenti per ragionare su come comportarsi quando il paziente lo critica, adotta comportamenti a rischio, salta le sedute, chiede un parere. Insomma, fa ragionare in un modo semplice, lucido e sensato sulla relazione di transfert.
Il clinico esce dal libro e ha capito una cosa: che deve essere di parte. Sapere riconoscere qual è il piano sano, adattivo, il desiderio che il paziente persegue. E supportarlo, validarlo, fare capire con le parole e con le azioni che lo sostiene. In questo modo il terapeuta si scolla di dosso le attribuzioni schema-dipendenti che il paziente gli aveva affibbiato e permette al paziente stesso di vivere le relazioni con un senso di curiosità, scoperta e libertà.
Se non sono stato abbastanza chiaro: un volume del genere ha la stessa importanza degli scritti di Safran e Muran sulla relazione terapeutica e sulla rottura e riparazione dell’alleanza. Ora sono stato abbastanza chiaro.
Qualche nota personale
A metà degli anni ’90 Joseph Weiss tenne un seminario all’Associazione di Psicologia Cognitiva. Erano presenti cognitivisti e psicoanalisti e quel giorno nessuno era interessato alla scuola di appartenenza. Weiss parlava un linguaggio che veniva fuori pari pari da Piani e strutture del comportamento di Miller, Galanter e Pribram. Lui non lo sapeva, i cognitivisti sì. Lì cognitivismo e psicoanalisi andavano a braccetto.
Qualche anno fa presentavo qualcosa, credo sotto l’ala della scuola di specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università La Sapienza. Durante il mio intervento parlai di una mia paziente, mi pare di ricordare fosse narcisista. Francesco Gazzillo faceva da discussant. Fece vari interventi. A un certo punto gli chiesi se avesse conosciuto la paziente perché mi stava dicendo cose su di lei che io non avevo detto! Ed erano tutte giuste. Per fare osservazioni come quelle ci vogliono intelligenza e acume clinico. E una teoria solida come la roccia. Intelligenza e acume clinico sono qualità personali. La teoria solida come una roccia era la Control Mastery Theory.