Intervista/Recensione del testo di Michael Bader “Eccitazione” appara sul sito Pangea realizzata da Matteo Fais

Investigare intorno al perché di qualcosa è normale e sacrosanto. Rientra in fondo nello spirito dell’Occidente, almeno da Socrate in poi. Ciò non toglie che, spesso, la tendenza a cercare una spiegazione possa sfuggire di mano. Questo è quanto capita con lo psicologismo, ovvero la propensione a vedere la causa remota di ogni fenomeno e opera nella psicologia di chi l’ha posta in essere. La nostra epoca lo fa di continuo. Il pensiero quasi mai viene valutato di per sé stesso, ma solo quale prodotto di un determinato animo e dei suoi turbamenti. Gli psicologi, in tal senso, hanno così guadagnato un ruolo fondamentale nella nostra società, tanto da essere entrati in pianta stabile anche negli spazi televisivi, ovvero lì dove oggi si svolge la vita pubblica. Non più osteggiata, come ai suoi primordi, la loro materia è divenuta oramai imprescindibile e lo psicologo necessario quasi più del medico di famiglia.

Da Pangea abbiamo deciso di scomodare uno dei più famosi psicoanalisti americani, esponente della San Francisco Psychotherapy Research Group (SFPRG), il Professor Michael Bader (www.michaelbader.com). Uscito di recente anche in Italia con Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali, Raffaello Cortina Editore, 2018, l’illustre accademico ha accettato di discutere con noi della sua ultima fatica e di replicare a certe provocatorie domande sulla natura della psicologia.

Professor Bader, ogni volta che leggo un libro di psicologia, ho come la strana sensazione di sentire il solito ritornello a ripetizione: “Infanzia, infanzia, infanzia”. Perché ogni psicologo è così focalizzato su quella particolare fase della vita? In fin dei conti, viviamo buona parte della nostra esistenza da adulti, con tutte le differenze che ciò comporta. Chiaramente, l’infanzia può essere un periodo estremamente drammatico e doloroso, ma non più del resto della vita. A ogni modo, dal principio dell’adolescenza, si verifica un cambiamento fondamentale: diveniamo moralmente responsabili delle nostre azioni. Per quanto può andare avanti questa sorta di auto indulgenza?

La ragione per cui gli psicologi sono così focalizzati sull’infanzia ha a che fare con certi aspetti universali e profondi dell’esistenza; vale a dire che, durante l’infanzia, mentre la psiche e il cervello vanno sviluppandosi, la dipendenza che si ha verso chi si prende cura di noi è assoluta. E sottolineo assoluta, mentre la dipendenza dei genitori rispetto ai loro bambini è relativa. Per l’infante sono loro la fonte da cui attingere per sviluppare un senso della realtà e della moralità, ossia il “come stanno le cose” e “come le cose dovrebbero essere”. Ecco il motivo per cui l’infanzia è così profondamente formativa. Anche le esperienze avute durante l’adolescenza lo sono, e sovente, rispecchiano quelle precedenti dell’infanzia. Questo è un dato di fatto della vita – il bambino è dipendente per un arco di tempo maggiore rispetto ai cuccioli di quasi tutte le specie. La chiave di tutto sta qui, nel concetto di dipendenza.

Solitamente intervisto poeti e scrittori, e posso dire con certezza che sono tutte persone segnate da ogni sorta di problemi e turbe. Ma, in fin dei conti, questo è ciò che li rende artisti. Non riesco a pensare a un grande, tra di loro, che non soffra di nevrosi, depressione e via dicendo. Sicché, la mia domanda è: ma esiste realmente la necessità di curarci? Non sarebbe semplicemente meglio trovare un modo per mutare la nostra malattia in qualcosa che ci porti a dire “finalmente, tutta questa sofferenza ha un significato”?

Penso che lei abbia la tendenza a idealizzare la sofferenza, specialmente nella sua assunzione secondo cui gli artisti trasformerebbero la loro pena in energia creativa. Forse sarà anche vero, ma per ogni artista che riesce in una tale impresa, ci sono 100.000 persone che soffrono di disturbi simili e sono incapaci di fare altrettanto. Personalmente, non credo che la grande arte si fondi su una grande sofferenza. Quindi, ben venga se tutto il tormento in ultimo assume un significato – a ogni modo, ritengo che, quando può essere alleviato, sia inumano rifiutare di farlo sulla base del fatto che la sofferenza sarebbe universale. Quando può essere alleviata, o ridotta, lo si deve fare. Questo è l’ethos che mi ha sempre accompagnato nella mia vita di attivista e psicoterapeuta. Nessuno mi pagherebbe altrimenti, in quanto professionista, se così non fosse.

Mi piacerebbe, adesso, parlare un po’ di sesso. Specialmente oggigiorno, tutti sembrano combattere contro una certa idea di società repressiva. A rischio di sembrare pazzo, sono convinto che l’interdizione renda l’oggetto proibito desiderabile. Per dirla tutta, è perché una donna è la moglie di un altro che la bramo e viceversa. Anche tutti i ragionamenti dei cattolici contro il sesso, visto come un peccato, mi eccitano e aumentano il mio appetito sessuale. Altrimenti, il sesso diverrebbe unicamente un atto privo di valore. Sarebbe quasi come fare ginnastica in palestra, qualcosa insomma che si fa per forza di cose se si vuole essere sani. Lei cosa ne pensa in merito?

Alcune volte, il fatto che gli oggetti del desiderio non siano disponibili costituisce parte della loro attrazione. In quei casi, l’attrattiva sta nel loro legame con un’esperienza di esclusività, una sensazione di specialità e unicità e ammirazione in virtù della mancata disponibilità dell’oggetto d’amore. Ciò è senza dubbio universale, però… Per la maggior parte delle persone, in realtà, quando l’oggetto del desiderio non è disponibile, la proibizione smorza il desiderio sessuale, invece che farlo accrescere.

baderNel suo libro Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali, lei parla del caso emblematico di una sua paziente, Jan. Questa donna, indipendente e femminista, si eccita, durante il sesso con il marito, unicamente facendo uso di una fantasia di dominio in cui viene trattata come un oggetto da un uomo spietato. Se non ho compreso male, lei vede in ciò un modo da parte della donna di venire a patti con la propria angoscia: “Lei affronta il suo problema con il senso di colpa creando un uomo tanto forte da non poter essere offeso dalla sua persona. Fa dunque in modo che sia lui a farle del male e non viceversa. Nel far ciò Jan rassicura sé stessa di non essere distruttiva e profondamente disumana – lui lo è. Non importa quanto in realtà lei sia forte, non importa quanto la cosa la ecciti, non importa quanto fuori controllo possano andare i suoi impulsi, ma quel partner nella fantasia non verrà mai sopraffatto da lei. Dal momento che lui si sta egoisticamente appropriando di ciò che vuole, Jan può essere sicura che sia felice e soddisfatto, così che lei non abbia da preoccuparsi di venirgli incontro. La fantasia controbilancia la sua convinzione patologica di soverchiare e offendere uomini fragili a causa della sua forza e dei suoi bisogni. Lui si prende ciò che vuole cosicché può ottenere anche lei ciò che desidera”. Lei, però, ha anche sostenuto che questo tipo di fantasia è ben più che comune tra le donne. Non potrebbe essere, semplicemente, che nella parte più profonda del nostro essere, noi si sia degli animali? Veniamo dalla giungla e viviamo in un mondo che, sotto la sua superficie, non è poi così diverso da quello primordiale. Era, in fondo, l’uomo delle caverne a garantire la sopravvivenza delle donne e dei bambini in un ambiente così ostile. Sicché, non mi sembra poi tanto strano che una donna possa sentire la necessità di un uomo forte. Citando la famosa poetessa Sylvia Plath: “Ogni donna ama un fascista,/ lo stivale sulla faccia”. Lei ritiene che questa interpretazione sia così assurda?

Le sue idee di una biologia evoluzionistica, basata su teorie quali la predominanza maschile e la protezione, sono spiegazioni che vanno troppo oltre, sono troppo distanti dall’esperienza vissuta, intendo l’esperienza vissuta soggettivamente dalle persone reali. Potrà anche essere, per esempio, che le femmine di primate cerchino maschi forti per ricevere protezione. Ma come può questa visione essere presa per buona, come la si può prendere in considerazione per spiegare la preferenza di una donna nell’essere ammanettata alla spalliera del letto, mentre il suo partner sessuale si masturba e le eiacula sulla faccia? Uso questi esempi estremi per chiarire che, partendo da una prospettiva evoluzionistica, non si può arrivare a un qualcosa che assomigli a una ragionevole spiegazione delle esperienze sessuali soggettive che hanno le persone reali. I buddisti hanno un modo di dire: “Il dolore è universale, la sofferenza è opzionale”. Ciò che intendono dire è che è impossibile immaginare una vita sociale priva di ansia, tristezza o senso di colpa. A ogni modo, quanto detto non ci porta particolarmente avanti nella comprensione di ciò che avviene nel mondo. Quel che si verifica in realtà è che questi stati affettivi sono creati, mantenuti, e riprodotti continuamente nella vita delle persone anche quando la causa di questi è oramai venuta meno.

Non so perché, ma tutti sembrano avere un’idea negativa di depressione, ansia, e angoscia, come se queste fossero necessariamente delle malattie. Ma ne siamo proprio sicuri? Possiamo realmente credere che, in un mondo quale quello che stiamo vivendo, sia sbagliato trovarsi in uno stato di inquietudine? La mia impressione è che simili sentimenti negativi siano l’ultima manifestazione di sanità mentale ed emozionale. Altrimenti, ci troveremmo nella realtà descritta da Aldous Huxley in Il Mondo nuovo, nel quale ogni malessere contro il sistema perverso viene soffocato dal sistema stesso. Non sembra anche a lei?

Assolutamente, è del tutto normale, nell’ambiente attuale, sentirsi depressi o ansiosi. Ribadisco, normale… e non certo da malati di mente. Qui, però, è una questione di gradi… ovvero, nello specifico, quanto l’entità di questi sentimenti incide in modo grave nel perseguimento delle proprie normali ambizioni, quali ad esempio condurre una buona vita lavorativa e amorosa. Per fortuna, sono tutte (almeno si spera) condizioni psichiatriche passibili di trattamento.

Questa è l’era della pornografia. Che cosa rende così attrattivo il porno, dal suo punto di vista? Perché tutti, seppur in gradi diversi, sono consumatori di questo genere di materiale?

Sono convinto che il porno sia così diffuso perché l’eccitazione sessuale è in sé intrinsecamente desiderabile. Il porno rappresenta la raffigurazione delle fantasie sessuali. Queste sono intriganti e, oltretutto, universali, poiché l’eccitazione sessuale è generalmente ricercata e desiderabile.

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