Francesco Gazzillo: Perché hai scelto la CMT come teoria di riferimento e cosa ti ha attratto di più della CMT dal punto di vista personale?
Marshall Bush: Quello che mi attrae di più è la visione della natura umana offerta dalla CMT, che è in contrasto stridente con quella della psicoanalisi, che è stata la teoria che ho appreso nel corso del mio training. Per la psicoanalisi classica, infatti, le persone sono motivate primariamente da impulsi molto primitivi e infantili e sono in lotta con il terapeuta perché non vogliono rinunciare alla gratificazione di questi impulsi. Non mi sono mai sentito a mio agio in questa visione.
Mentre mi sono sentito molto attratto dalla visione della natura umana della CMT prima di tutto perché è idealistica, cosa che per me è importante, e poi perché attribuisce alle persone motivazioni molto positive, cosa che corrisponde alla mia visione delle persone, ad esempio quando sostiene che le persone si impegnano per tutta la vita a padroneggiare i loro traumi e li padroneggiano in modo via via sempre maggiore, cosa che gli permette di vivere una vita decisamente migliore. E poi mi ha attratto il fatto che porta chiarezza alla comprensione dei pazienti, che è molto organizzante. Al tempo stesso, la CMT è una sfida intellettuale, perché quando cerchi di integrare tutte le informazioni che hai su un paziente e tutte le informazioni che hai sulla sua infanzia e il suo ambiente per comprendere il suo piano, intraprendi un viaggio intellettuale affascinante. E credo che la CMT mi parli anche da un punto di vista spirituale, perché ho sempre avuto la sensazione che ogni vita umana sia un universo separato, come un mondo a sé, e la CMT cerca davvero di concettualizzare gli specifici universi individuali molto più di qualsiasi altra teoria che io conosca, ed è molto utile per i pazienti avere un terapeuta che utilizzi questa teoria nel trattamento, ed è molto gratificante per i terapeuti vedere che i pazienti migliorano. E ti permette di vedere i tuoi pazienti in modo assai più positivo anziché immaginarli come un coacervo di impulsi, difese e motivazioni disadattive di tutti i tipi.
FG: Be’, a questo punto forse mi hai già risposto, ma avrei voluto chiederti quali sono, secondo te, i maggiori punti di forza della CMT, e se vuoi anche i suoi limiti.
MB: Il punto di forza maggiore è che ti fornisce una meravigliosa piattaforma su cui costruire e magari da integrare con qualsiasi teoria tu voglia. Ti fornisce una piattaforma per orientarti su come puoi essere utile ai tuoi pazienti. I suoi limiti derivano soprattutto dal fatto che si tratta di una teoria per molti versi incompleta e non penso che prenda in adeguata considerazione, per esempio, le influenze sociali e culturali nello sviluppo della personalità. Mi ha molto colpito, leggendo il necrologio di un’analista kleiniana inglese (Hanna Segal), il fatto che dalla sua storia appariva chiaro che la sua vita era stata del tutto frammentata dalla Seconda Guerra Mondiale, o forse dalla Prima, e questo fatto ha chiaramente influenzato la sua adesione alla teoria kleiniana, un po’ come la Prima Guerra Mondiale deve aver influenzato Freud rispetto all’ipotesi di una Pulsione di Morte. Questi eventi hanno un impatto profondo sul modo in cui le persone fanno esperienza del mondo e della loro vita. E’ come una vera e propria perdita di fiducia nel genere umano.
FG: A un livello più personale, nel lavoro clinico ti sei mai trovato a vivere situazioni in cui superare i test di un paziente è stato difficile? Ci puoi raccontare cosa è successo?
MB: La situazione clinica più difficile con cui mi sia trovato a confrontarmi è stata quella di una donna che era stata in trattamento per tanti anni con la moglie di Hal Sampson e faceva parte del San Francisco Psychotherapy Research Group. La moglie di Hal, Fran, era una donna adorabile, ma questa paziente non aveva fatto grandi progressi con lei. Nel corso del trattamento con me era diventato chiaro che viveva in un modo paranoico, cosa che nel corso del trattamento precedente non era mai emersa. Ed è stato molto difficile non essere assorbito all’interno di quel mondo, così da restare in relazione con la paziente, anche perché era molto paranoide rispetto a tutto il gruppo Control Mastery. Questa paziente credeva di essere la figlia del presidente Kennedy, che poi l’aveva abbandonata. Insomma, aveva un sistema delirante piuttosto elaborato e io non potevo contraddirla, sapevo che non avrebbe funzionato. Così dovevo rimanere aperto, dovevo crederle e al tempo stesso sapere che quelle cose che mi raccontava non erano vere. E alla fine ha iniziato a fare ricercasul disturbo di personalità multipla, perché si tratta di una terapeuta, e anche io ho iniziato a fare ricerca su questo tema e sulla dissociazione. E poi ha iniziato a contattare vari esperti e mi ha lasciato con la sensazione di non esserle stato molto utile, anche se di certo non stava peggio di prima. Anzi, per certi versi riusciva anche a funzionare meglio. Ma questa esperienza mi ha reso consapevole del fatto che certi tipi di traumi possono essere superati solo in piccola parte. E questa è stata forse la situazione più difficile.
FG: Quindi, se ho ben capito, tu pensi che il modo in cui ti parlava del suo delirio era anche un test?
MB: Credo di sì. Ma è difficile da concettualizzare perché … non voleva che non le credessi, ma non voleva neppure che fossi assorbito dal suo mondo. E credo che questo è qualcosa che è successo anche a lei. Peraltro, questo è un tipo di test che ha luogo in tempi molto lunghi.
FG: La CMT ti è stata utile per comprendere aspetti della tua vita psichica o delle tue esperienze che non eri riuscito a comprendere adeguatamente nel corso del tuo training?
MB: Assolutamente sì. Prima non avevo idea di quanto avessi bisogno di proteggere le altre persone e di quanta parte della mia vita sia stata influenzata da questa necessità di proteggere gli altri e mettere me stesso in secondo piano per questo motivo. E mi ha dato anche una visione di me molto più benevola e una comprensione molto più chiara della mia famiglia di origine.
Ci sono alcune cose che sono molto difficili da affrontare e un paio di punti che la Control Mastery Theory non ha affrontato in modo adeguato, primo tra tutti quello relativo alle somiglianze e differenze tra la visione dell’inconscio della CMT e quella della psicoanalisi classica. Tutto quello che Weiss dice rispetto a questo punto è che le persone possono affrontare e risolvere i problemi anche inconsciamente, ma non ha mai detto che non esistano le pulsioni per come le intendeva Freud; e dunque, questo rimane un grande punto interrogativo.
Ad ogni modo, la CMT mi ha permesso di comprendere molto meglio la mia famiglia di origine, ma io faccio ancora difficoltà ad accettare quanto mia madre fosse pazza; Weiss dice che i processi mentali sono regolati dal senso di sicurezza vs pericolo, ma io non vivo come pericoloso il fatto di rendermi conto di quanto fosse pazza mia madre, piuttosto è doloroso, e penso che forse la CMT dovrebbe incorporare l’idea che parte dei processi mentali siano regolati dal principio di piacere/dispiacere, e non dal senso di sicurezza/pericolo. Questo è un secondo punto che la CMT secondo me non affronta in modo adeguato.
FG: Un’ultima domanda. Quali saranno, o dovrebbero essere, secondo te, gli sviluppi futuri della Control Mastery Theory?
MB: Secondo me dovrebbe espandersi in tutte le direzioni, e lo può fare, e poi dovrebbe prestare più attenzione alle influenze esercitate dalla cultura sul comportamento delle persone. Infine è necessario fare più ricerca, perché la CMT si presta bene a essere testata sperimentalmente, così da poter elaborare una teoria scientifica sullo sviluppo della psicopatologia, la sua cura e anche i limiti della psicoterapia. Quest’ultimo punto non è stato discusso molto nella letteratura CMT. Per questo motivo, penso che i terapeuti in training abbiano l’impressione che è sufficiente che superino i test dei pazienti perché i pazienti migliorino. Certo, è un tema difficile perché non bisogna scoraggiare i terapeuti e penso anche che spesso i terapeuti aiutino i loro pazienti molto più di quanto non credano. Ma sono le loro aspettative a essere irrealistiche, prima di tutto. E, per la mia esperienza, la Control Mastery Theory all’inizio dava un’importanza quasi esclusiva al tema dell’onnipotenza, e al senso di colpa che ne consegue, quello connesso alla sensazione di essere eccessivamente responsabili del benessere altrui e tutti gli esempi di test riguardavano l’onnipotenza. Poi, nel corso del tempo, Weiss è diventato sempre più sintonizzato con i problemi connessi al rifiuto sperimentato da molti pazienti e il suo stile è cambiato di conseguenza. Anni fa ho avuto in analisi un paziente che era in supervisione con Joe (Weiss) e un giorno mi disse che aveva chiesto a Joe come si dovessero trattare i pazienti, e lui le aveva risposto: “Come se fossero degli ospiti che accogli in casa tua”. La paziente fu presa un po’ alla sprovvista, ma questo è stato un grande cambiamento nella CMT e ora è uno dei punti centrali delle terapie secondo il modello CMT. Sono sicuro che ci siano anche altri traumi, oltre a quelli di rifiuto, che necessitano di test diversi, ma almeno la CMT ha un’impalcatura teorica attorno alla quale è possibile costruire. Non credo ci siano parti francamente sbagliate della teoria, o false.
Rispetto ai limiti delle terapie, poi, direi anche le credenze patogene sono parte di un sistema di credenze più ampio, di un’intera visione del mondo, e tu non puoi cambiare un’intera visione del mondo a meno che non cambi il mondo in cui vivi, le persone con cui vivi. Ed è difficile che queste cose cambino, per cui se continui a vivere nello stesso ambiente molti aspetti della tua visione del mondo, che sono connessi ai traumi che hai vissuto, non possono cambiare. Un genitore che traumatizza un bambino, sia che lo faccia in modo malevolo sia che lo faccia per le sue fragilità, presenta al figlio una visione complessiva del mondo, della vita e della condizione umana e non penso che questa possa essere modificata del tutto.