Una riflessione, a partire dal racconto di un caso clinico, sulla possibilità di trattare i pazienti gravi integrando modelli terapeutici differenti
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Introduzione
Una riflessione, a partire dal racconto di un caso clinico, sulla possibilità di trattare i pazienti gravi integrando modelli terapeutici differenti Lavorare con pazienti che hanno una grave compromissione del funzionamento personale, professionale e sociale, come ad esempio i pazienti con disturbi di personalità, dell’umore, o con disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti, è motivante ma sicuramente complesso, poiché le conseguenze generali di tale compromissione sono molteplici e fin dal primo secondo di terapia appare chiaro che, indipendentemente dall’impalcatura teorica del proprio modello di formazione, per questi pazienti è molto difficile fare progressi e mantenerli stabili nel tempo, generalizzandoli a tutti i contesti di vita. Quando più di sei anni fa ho accettato di seguire D., un ragazzo diciassettenne con Disturbo da stress post traumatico – complesso, nutrivo un po’ di timore e forse anche di scetticismo in merito alla possibilità di poter lavorare secondo l’ottica della Control Mastery Theory con questa tipologia di pazienti, principalmente a causa di due fattori: la percezione di padroneggiare questo modello terapeutico da non abbastanza tempo per trattare questi pazienti e un preconcetto sviluppato durante la formazione di psicoterapeuta cognitivo-comportamentale secondo cui, al paziente è necessario approcciarsi formulando delle domande ben precise, necessarie a costruire la formulazione del caso. Quest’ultima comprende la descrizione della sintomatologia presentata, il profilo interno del disturbo (quindi le credenze, gli stati mentali e gli scopi che rendono ragione del funzionamento del problema presentato), i fattori e dei processi del mantenimento di quella sintomatologia, e infine i trigger personali e sociali responsabili di quest’ultima e dei fattori di vulnerabilità che espongono il paziente a ricadute. Il trattamento che ne deriva risponde quindi alla comprensione di questi elementi e poggia oltre che su una salda relazione terapeutica (fondamentale per ogni tipo di approccio), anche su una “valigetta di attrezzi” utili al terapeuta: le tecniche cognitive e comportamentali ed eventualmente l’uso di protocolli, differenti a seconda del disturbo del paziente e da rispettare pedissequamente nella loro applicazione.
