In accordo con la Control-Mastery Theory (CMT), il paziente arriva in terapia con un piano, in genere inconscio, che prevede la realizzazione di obiettivi piacevoli e realistici (Weiss, 1993; Gazzillo, 2016). Il paziente in terapia lavora per disconfermare le credenze patogene e i sensi di colpa che lo ostacolano in questo compito e lo fanno soffrire, per padroneggiare i suoi traumi e comprendere meglio la storia della propria vita. Pertanto, nei primi colloqui il paziente cercherà di fornire al clinico le informazioni necessarie a fargli capire ciò di cui ha bisogno per star bene. È quindi importante che il terapeuta assuma una posizione attenta e mentalmente attiva, che in termini operativi può tradursi nel prestare attenzione a ciò che il paziente comunica, ma anche nel far domande ed esplorare insieme al paziente aspetti rilevanti della sua storia di vita; allo stesso tempo, però, il clinico deve mostrarsi flessibile, adattandosi il più possibile ai bisogni del paziente e lasciandosi un po’ guidare dal suo modo di “stare” nella relazione.